Caro Francesco, caro amico Tobia,
penso che il trentennale dell’ AIRAS non possa passare senza il giusto ringraziamento e riconoscimento a chi dell’ AIRAS è stato il padre, e a volte la madre, con devozione, impegno, serietà e tenacia che han ben pochi pari.
Ricordo perfettamente quando mi chiedesti di collaborare, giovane discente AIRAS, ad uno studio sulla fibromialgia ed io, giovane ed entusiasta, acconsentii. Ricordo perfettamente quando mi chiedesti di entrare ancora trentenne nel corpo docenti affidandomi due materie tutte da scoprire, quali la mesoterapia e la sindrome miofasciale.
Ogni volta per te fu un atto di fiducia nelle mie potenzialità e di stimolo personale, che ho sempre voluto ricambiare con l’impegno, con lo studio e con la massima serietà, che mi hanno poi portato verso orizzonti che mai avrei potuto pensare di raggiungere.
Praticare una materia può succedere, diventare esperti vuol dire sacrificio e convinzione, che tu sempre hai sostenuto in tutti questi anni.
A molti di noi “insegnanti” è successo lo stesso, sempre grazie al tuo intuito, al tuo stimolo e al sostegno nei momenti di difficoltà.
Oggi qui al trentennale, anche tutti i presenti possono dirti di avere imparato moltissimo da te e dalla tua creatura, l’AIRAS, per poter essere medici migliori ogni giorno e poter dare qualche risposta in più a coloro che ci richiedono aiuto.
Ringraziarti pubblicamente era il minimo… per aver avuto il massimo!
AD MOLTOS ANNOS
G.C.
Caro Tobia,
oggi a me sono successe almeno due cose, tra le tante.
Una è stata esserci stato al trentennale di AIRAS e averla festeggiata con te.
L’ altra è stata una piccola cosa detta tra noi: mi hai detto che a 47 anni hai cominciato a percepire il tempo che passava dalla distanza a cui dovevi mettere gli oggetti per poterli vedere bene o le pagine per poterle leggere meglio.
In fondo, quindi, la “vecchiaia” è anche una metafora. La metafora che ci permette di guardare le cose da una certa distanza e vederle meglio, presi come siamo, da più giovani, ad occuparci del particolare e non del generale, dell’analisi e non della sintesi.
Ecco, voglio dirti questo: oggi ho visto AIRAS un po’ da presbite, come la metafora della mia professione.
Faccio il “mestiere” di medico di famiglia dal 1986. Ho cominciato a frequentare l’AIRAS proprio da quegli anni. Mi sono occupato lungamente e a fondo di formazione medica e di ECM, e a questo punto, proprio con la distanza e, spero, con la saggezza che ti può dare la “vecchiaia”, posso tranquillamente dire che AIRAS c’è stata in ogni giorno nella mia professione medica.
Proprio perché mi sono occupato tanto di formazione posso tranquillamente dire che quello che ho imparato (e che continuo ad imparare in questo contesto) segue fedelmente la vita del medico e ne colora la giornata professionale. In ogni atto. Quasi in ogni contatto quotidiano con i pazienti.
Aldilà delle “cazzate funzionariali” dell’ ECM, AIRAS è stata quanto di meglio si potesse desiderare all’interno di una vita professionale proprio per quella curiosità, per quella necessità pratica, per quella convivialità e informalità ma nel contempo per il rigore scientifico, che è necessario mantenere nel processo di formazione continuo di un medico.
Mi ricordo che mi hai telefonato per sollecitarmi a venire. Forse ci sarei venuto comunque, ma quella tua telefonata mi ha rinforzato nella mia decisione di esserci.
Ti ringrazio per quella telefonata proprio per i significati ed i significanti che ho appena descritto poco sopra.
Per fortuna che AIRAS c’è!
Grazie. Di tutto.
M.B.
Caro Maestro,
oggi si festeggia il trentennale dell’AIRAS che vidi nascere al Tuo fianco nel 1986. Non ci eravamo mai incontrati, ma fui subito colpito dalla Tua determinazione che si sommava alla convinzione nel credere di poter proporre e insegnare ai medici (sempre con l’umiltà che Ti contraddistingue) un capitolo fonfamentale dell’arte medica “il dolore”: parola che sentimmo spesso nominare durante il corso di laurea ma sul quale nessun docente si era soffermato.
Bene, in quegli anni, non proprio rosei per l’agopuntura, sempre avvolta da un alone di mistero, diffidenza e incomprensione, riuscisti ad insegnarci che “chi giudica è perché non conosce e non capisce”. La Tua caparbietà fece si che il sintomo dolore diventasse per noi tuoi allievi motivo di alta professionalità, donandoci una visione d’insieme del paziente, che troppo spesso, ancora, si deve affidare alla medicina ultraspecialistica e magari per una diagnosi solo parziale della sua patologia globale. Pur imparando da Te che “l’ottimo è sempre nemico del buono” e che l’agopuntura è una buona terapia ma non una panacea universale mi sono sentito preso per mano e riaccompagnato alla dimensione umana dell’arte medica, ci mancava solo il calesse… Le Tue prime visite al paziente (momenti irrinunciabili per l’inquadramento clinico) portavano a diagnosi altrettanto precise che aprivano la strada alla terapia del dolore che Tu già allora amavi definire “la riflessoterapia antalgica mediante agopuntura”. Con il passare degli anni la medicina ufficiale dovette inchinarsi e dare ragione ai tuoi studi che, con evidenza scientifica pubblicavi sulle più prestigiose riviste mondiali, citiamo solo Pain per dare un’idea. L’agopuntura veniva così annoverata tra le terapie complementari con la possibilità di iscriversi all’Albo degli agopuntori dando ordine ad un campo troppo spesso sfruttato da ciarlatani.
Quel Tuo essere bonariamente severo e il pretendere buoni risultati dai tuoi allievi e collaboratori ha gettato le basi per dei medici competenti e più responsabili nell’approccio al paziente con questo sintomo, troppo spesso sottovalutato.
Desidero ringraziarTi anche a nome di tutti i colleghi che vorranno condividere questi pensieri, senza però dimenticare che gli anni passati con Te mi hanno regalato un Maestro della Medicina e di vita che sempre mi è stato e sentirò vicino.
Ora caro Maestro Ti attende un altro compito poi potrai davvero goderti il pensionamento: lottare per avere la specialità in Algologia dove l’agopuntura farà da motrice.
Un abbraccio affettuoso.
L.R.
Alcune testimonianze
Caro Francesco, caro amico Tobia,
penso che il trentennale dell’ AIRAS non possa passare senza il giusto ringraziamento e riconoscimento a chi dell’ AIRAS è stato il padre, e a volte la madre, con devozione, impegno, serietà e tenacia che han ben pochi pari.
Ricordo perfettamente quando mi chiedesti di collaborare, giovane discente AIRAS, ad uno studio sulla fibromialgia ed io, giovane ed entusiasta, acconsentii. Ricordo perfettamente quando mi chiedesti di entrare ancora trentenne nel corpo docenti affidandomi due materie tutte da scoprire, quali la mesoterapia e la sindrome miofasciale.
Ogni volta per te fu un atto di fiducia nelle mie potenzialità e di stimolo personale, che ho sempre voluto ricambiare con l’impegno, con lo studio e con la massima serietà, che mi hanno poi portato verso orizzonti che mai avrei potuto pensare di raggiungere.
Praticare una materia può succedere, diventare esperti vuol dire sacrificio e convinzione, che tu sempre hai sostenuto in tutti questi anni.
A molti di noi “insegnanti” è successo lo stesso, sempre grazie al tuo intuito, al tuo stimolo e al sostegno nei momenti di difficoltà.
Oggi qui al trentennale, anche tutti i presenti possono dirti di avere imparato moltissimo da te e dalla tua creatura, l’AIRAS, per poter essere medici migliori ogni giorno e poter dare qualche risposta in più a coloro che ci richiedono aiuto.
Ringraziarti pubblicamente era il minimo… per aver avuto il massimo!
AD MOLTOS ANNOS
G.C.
Caro Tobia,
oggi a me sono successe almeno due cose, tra le tante.
Una è stata esserci stato al trentennale di AIRAS e averla festeggiata con te.
L’ altra è stata una piccola cosa detta tra noi: mi hai detto che a 47 anni hai cominciato a percepire il tempo che passava dalla distanza a cui dovevi mettere gli oggetti per poterli vedere bene o le pagine per poterle leggere meglio.
In fondo, quindi, la “vecchiaia” è anche una metafora. La metafora che ci permette di guardare le cose da una certa distanza e vederle meglio, presi come siamo, da più giovani, ad occuparci del particolare e non del generale, dell’analisi e non della sintesi.
Ecco, voglio dirti questo: oggi ho visto AIRAS un po’ da presbite, come la metafora della mia professione.
Faccio il “mestiere” di medico di famiglia dal 1986. Ho cominciato a frequentare l’AIRAS proprio da quegli anni. Mi sono occupato lungamente e a fondo di formazione medica e di ECM, e a questo punto, proprio con la distanza e, spero, con la saggezza che ti può dare la “vecchiaia”, posso tranquillamente dire che AIRAS c’è stata in ogni giorno nella mia professione medica.
Proprio perché mi sono occupato tanto di formazione posso tranquillamente dire che quello che ho imparato (e che continuo ad imparare in questo contesto) segue fedelmente la vita del medico e ne colora la giornata professionale. In ogni atto. Quasi in ogni contatto quotidiano con i pazienti.
Aldilà delle “cazzate funzionariali” dell’ ECM, AIRAS è stata quanto di meglio si potesse desiderare all’interno di una vita professionale proprio per quella curiosità, per quella necessità pratica, per quella convivialità e informalità ma nel contempo per il rigore scientifico, che è necessario mantenere nel processo di formazione continuo di un medico.
Mi ricordo che mi hai telefonato per sollecitarmi a venire. Forse ci sarei venuto comunque, ma quella tua telefonata mi ha rinforzato nella mia decisione di esserci.
Ti ringrazio per quella telefonata proprio per i significati ed i significanti che ho appena descritto poco sopra.
Per fortuna che AIRAS c’è!
Grazie. Di tutto.
M.B.
Caro Maestro,
oggi si festeggia il trentennale dell’AIRAS che vidi nascere al Tuo fianco nel 1986. Non ci eravamo mai incontrati, ma fui subito colpito dalla Tua determinazione che si sommava alla convinzione nel credere di poter proporre e insegnare ai medici (sempre con l’umiltà che Ti contraddistingue) un capitolo fonfamentale dell’arte medica “il dolore”: parola che sentimmo spesso nominare durante il corso di laurea ma sul quale nessun docente si era soffermato.
Bene, in quegli anni, non proprio rosei per l’agopuntura, sempre avvolta da un alone di mistero, diffidenza e incomprensione, riuscisti ad insegnarci che “chi giudica è perché non conosce e non capisce”. La Tua caparbietà fece si che il sintomo dolore diventasse per noi tuoi allievi motivo di alta professionalità, donandoci una visione d’insieme del paziente, che troppo spesso, ancora, si deve affidare alla medicina ultraspecialistica e magari per una diagnosi solo parziale della sua patologia globale. Pur imparando da Te che “l’ottimo è sempre nemico del buono” e che l’agopuntura è una buona terapia ma non una panacea universale mi sono sentito preso per mano e riaccompagnato alla dimensione umana dell’arte medica, ci mancava solo il calesse… Le Tue prime visite al paziente (momenti irrinunciabili per l’inquadramento clinico) portavano a diagnosi altrettanto precise che aprivano la strada alla terapia del dolore che Tu già allora amavi definire “la riflessoterapia antalgica mediante agopuntura”. Con il passare degli anni la medicina ufficiale dovette inchinarsi e dare ragione ai tuoi studi che, con evidenza scientifica pubblicavi sulle più prestigiose riviste mondiali, citiamo solo Pain per dare un’idea. L’agopuntura veniva così annoverata tra le terapie complementari con la possibilità di iscriversi all’Albo degli agopuntori dando ordine ad un campo troppo spesso sfruttato da ciarlatani.
Quel Tuo essere bonariamente severo e il pretendere buoni risultati dai tuoi allievi e collaboratori ha gettato le basi per dei medici competenti e più responsabili nell’approccio al paziente con questo sintomo, troppo spesso sottovalutato.
Desidero ringraziarTi anche a nome di tutti i colleghi che vorranno condividere questi pensieri, senza però dimenticare che gli anni passati con Te mi hanno regalato un Maestro della Medicina e di vita che sempre mi è stato e sentirò vicino.
Ora caro Maestro Ti attende un altro compito poi potrai davvero goderti il pensionamento: lottare per avere la specialità in Algologia dove l’agopuntura farà da motrice.
Un abbraccio affettuoso.
L.R.