Fini economici
Uno dei punti di debolezza di quasi tutte le tecniche complementari è rappresentato dal fatto che in genere vengono esercitate in regime di prestazione libero-professionale. Ciò in sè non rappresenta una caratteristica negativa visto che la privatizzazione dell’assistenza medica è un obiettivo perseguito da molti soggetti istituzionali e sociali.
Ma quando ci si trova davanti a tecniche terapeutiche la cui efficacia non è dimostrata al di la di un ragionevole dub- bio, la riscossione di un onorario per la sua applicazione ingenera un problema di ordine etico:
E’ giusto far spendere ad un paziente dei soldi a fronte di una prestazione professionale di non provata efficacia?
E’ pur vero che il paziente quando affronta una cura non paga il risultato terapeutico ma la prestazione ricevuta e che quindi onorario e risultato positivo non sono interdipendenti ma, nel corso del contratto terapeutico fra paziente e curante quest’ultimo deve essere in grado di fornire per lo meno un’ipotesi prognostica fondata su criteri, non solo empirici di esperienza personale, ma anche statistici derivanti da osservazioni scientifiche.
Vi è una scuola di medicina alternativa molto nota che nel passato recente pubblicizzava i suoi corsi adducendo come ragione essenziale lo spazio professionale e le possibilità di guadagno ancora presente nel settore di questa medicina nuova. Questo è un esempio di rovesciamento di ogni ragionamento etico – scientifico:
Una tecnica terapeutica viene giustificata dalla necessità e possibilità di guadagno del medico invece che:
- dall’efficacia dimostrata
- dai vantaggi derivanti rispetto al solo trattamento farmacologico
- dagli ulteriori vantaggi derivanti dalla possibile integrazione fra tecniche convenzionali e non convenzionali